A poco più di un anno dall'indipendenza, la capitale del Kossovo ha l'aria di capitale europea alla moda. Nonostante il tasso di disoccupazione ufficiale sfiori l'80 per cento. Viaggio tra la massiccia presenza internazionale e la criminalità al potere
“L'Espresso all'italiana” è scritto sui tendoni che riparano le schiere di tavolini all'aperto nel viale alberato. Ragazzi in jeans e giacca di velluto attraversano i cortili affollati. C'è chi chiacchiera davanti a una birra e chi lavora al computer portatile. Un po' oltre, ci sono locali più ricercati: in stile moderno, con arredi in vetro e metallo, o etnico, in legno e paglia intrecciata. Vi siedono giovani in completo scuro e ragazze con tacchi alti e abiti vistosi. I camerieri servono composizioni di pesce o di formaggi assortiti, come nelle riviste di cucina più glamour. Non siamo nel centro di Milano allo scattare dell'aperitivo, ma a Pristina, capitale del Kossovo, in un ordinario mercoledì pomeriggio.
A pochi mesi dal primo compleanno dell'indipendenza (il 17 febbraio scorso), la capitale del paese più giovane d'Europa, con un'età media di 24 anni, ti accoglie come una ragazza che vuole stupire. Su boulevard Clinton, che dall'aeroporto conduce al centro, sfilano solide case progettate con gusto, mentre suv fiammanti sfrecciano sullo sfondo di cartelloni pubblicitari dei più noti marchi occidentali. E attorno alla piazza del “New Born”, il monumento dell'indipendenza costituito da grandi lettere di cemento colorato che compongono la scritta “nuovo nato” in inglese, un'esuberante vitalità mondana meraviglia il visitatore che abbia letto i rapporti sull'economia drammaticamente improduttiva del Kossovo e sul suo tasso di disoccupazione che sfiora l'80 per cento della popolazione attiva.
Le sigle di organizzazioni internazionali quali Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), Onu e Unchr (Alto commissariato Onu per i rifugiati) frequenti su palazzi e automobili nel centro di Pristina, sono la prima possibile spiegazione a segni di un benessere inaspettati, in un paese che è stato recente teatro di un feroce conflitto etnico. La presenza internazionale, seguita ai bombardamenti Nato del 1999 che sconfissero il regime di Milosevich, viene da molti considerata la più fiorente industria del paese: all'inizio del 2008, la sola missione Onu in Kosovo (Unmik) aveva speso circa tre miliardi di euro, in personale, beni e servizi. “Anche se solo una piccola parte di questa somma è stata investita nell'economia kosovara – sottolinea il sito d'informazione Osservatorio Balcani- il denaro speso ha certamente avuto un ruolo nella creazione di attività produttive”. Soprattutto a Pristina dove è concentrato oltre il 60 per cento del personale internazionale.
Nonostante ciò, quasi tutti i kossovari invocano l'allontanamento della missione inviata dall'Onu per sostenere (e monitorare) le istituzioni locali.
“I funzionari dell'Unmik hanno salari altissimi, ma ancora non ne abbiam visto i benefici sulla popolazione”, dice un giovane incontrato in uno dei più rinomati caffè del centro, il Papillon. Giacca gessata, voce impostata e sorriso smagliante, Artan si occupa di casting per la televisione nazionale. E' albanese, ma vanta diverse esperienze professionali in Italia e negli Usa: a convincerlo a venire a Pristina, sono state buone opportunità d'affari.
Nonostante ciò, quasi tutti i kossovari invocano l'allontanamento della missione inviata dall'Onu per sostenere (e monitorare) le istituzioni locali.
“I funzionari dell'Unmik hanno salari altissimi, ma ancora non ne abbiam visto i benefici sulla popolazione”, dice un giovane incontrato in uno dei più rinomati caffè del centro, il Papillon. Giacca gessata, voce impostata e sorriso smagliante, Artan si occupa di casting per la televisione nazionale. E' albanese, ma vanta diverse esperienze professionali in Italia e negli Usa: a convincerlo a venire a Pristina, sono state buone opportunità d'affari.
Tuttavia, la classe dirigente locale, costituita in prevalenza da ex leader dell'Uck (Esercito di Liberazione del Kossovo) non appare particolarmente impegnata nel potenziare l'economia locale. “Non vi sono investimenti significativi in alcun settore dell'economia e il tasso di suicidi giovanili è drammaticamente aumentato a causa della mancanza di prospettive e di lavoro”, dice Ilire Zajmi, cronista della Radio Kossova e corrispondente dell'Ansa a Pristina. “Neanche nel settore dello spettacolo vi è alcuna politica che favorisca investimenti stranieri”, le fa eco Skumbin I., noto attore comico kossovaro. Sono critiche che non stupiscono se si guarda al curriculum dei principali dirigenti politici del Kossovo: sia l'attuale capo del governo Hashim Thaci, che il leader del partito d’opposizione Ramush Haradinaj, oltre ad essere molto giovani, (hanno entrambi una quarantina d'anni), hanno avuto una formazione militare più che politica, essendo stati i principali leader dell'Uck. Inoltre, un dossier commissionato dalle forze armate tedesche all'Istituto di Berlino per la politica Europea, li descrive come “i capoclan dei cartelli mafiosi più potenti del Kosovo”, confermando informazioni fornite da precedenti inchieste giornalistiche e giudiziarie. In particolare, secondo il Washington Times, durante il periodo in cui Thaci fu a capo dell'Uck, l'organizzazione si finanziava prevalentemente attraverso il controllo di gran parte del traffico di eroina e cocaina verso l'Europa occidentale. Successivamente Thaci è stato additato dalla Bbc come “l'elemento centrale delle attività criminali condotte dal Kosovo Protection Force” (nato dopo lo scioglimento dell'Uck, assorbendone i miliziani), che estorceva denaro agli uomini d'affari sotto forma di tasse per il suo governo, una sorta di pizzo. Ramush Haradinaj è stato accusato di crimini di guerra e contro l'umanità dalla Corte Penale Internazionale per la ex Jugoslavia. Diversi testimoni a suo sfavore sono morti in circostanze misteriose durante il processo e nell'aprile 2008 è stato assolto da tutti i capi d'imputazione.
Il Kossovo è considerato il porto franco dell'Europa per l'80 per cento della droga prodotta in Afganistan e lavorata in Turchia. Lo spaccio internazionale è spesso additato come giustificazione della quantità di denaro che gira a Pristina, ma non è chiaro come traffici di tale portata possano avvenire indisturbati sotto gli occhi dei 16.000 militari della missione Kfor (Kosovo Force) guidata dalla Nato, tuttora presenti in questo fazzoletto di terra grande come il Molise. “Non sono i militari della Kfor che devono fare inchieste giudiziarie sul traffico di stupefacenti, ma la magistratura”, risponde Alberto Perduca, il magistrato italiano che dirige il settore giustizia di Eulex, la missione decisa dall'Unione Europea dopo la proclamazione dell'indipendenza del Kossovo (riconosciuta da quasi tutti gli stati membri), per sostenere le istituzioni locali, sostituendo gradualmente l'Unmik. Impegnata nei settori di giustizia, polizia e dogane con circa 2000 funzionari, l'Eulex è la più importante missione estera dell'Unione e, oltre al ruolo consultivo, può esercitare il potere giudiziario assieme agli amministratori locali. “Ad esempio – spiega Perduca- vi è una Procura speciale anticrimine, creata sull'esempio della Direzione speciale antimafia, costituita da 16 procuratori, dei quali 6 sono Eulex”. Tuttavia, dal dicembre scorso, data in cui è entrata in azione l'amministrazione della giustizia sostenuta dall'Eulex, è passato in giudicato solo un caso di rapina. “Stiamo ancora prendendo in consegna dall'Unmik gli oltre a 1200 fascicoli aperti per crimini di guerra”, dice il funzionario. E aggiunge che affrontare la criminalità organizzata sarà molto difficile: “L'attrezzatura tecnica, come quella per fare intercettazioni, non è adeguata”. Ma soprattutto: “I legami familiari e tra clan qui sono potentissimi e, in un paese così piccolo, è un grande problema anche difendere i testimoni!”
La scritta “Eulex made in Serbia”, che campeggia sulle mura di tutto il Kossovo, mostra che anche la missione inviata dall'Unione Europea non è amata dai locali. Accusandola di essere prodotto della Serbia, la si associa alla nazione contro cui è stata combattuta la cosiddetta “guerra di liberazione” della maggioranza dei kossovari, che sono di etnia albanese. A ricoprire le mura con quella scritta, sono le centinaia di attivisti di un movimento extra parlamentare chiamato “Vetevendosje!” (Autodeterminazione). Il suo fondatore è Albin Kurtis, 33 anni, già leader delle proteste studentesche contro il regime di Milosevich, nonchè vicino al leader kossovaro pacifista, Ibrahim Rugova. “Kfor e Eulex non dovrebbero avere poteri esecutivi né immunità legale”, ci dice. Ma non risparmia critiche pesanti ai membri del governo: “Thaci e i suoi uomini sono diventati burocrati e non si occupano delle persone. Il Governo afferma che non ha soldi ma non è vero: abbiamo calcolato che ha ancora nelle casse oltre 5 milioni di euro dagli aiuti e dalle privatizzazioni. Che cosa ci sta facendo?”
Intanto, sotto al Parlamento di Pristina, è spuntata una tenda: vi sventola la bandiera dell'Uck e da alcuni giorni vi dormono una trentina di uomini dai volti scavati e spesso solcati da vistose cicatrici. Sono ex militanti dell'esercito di liberazione del Kossovo e stanno facendo uno sciopero della fame. “Chiediamo al governo il riconoscimento da veterani e un sussidio per chi deve curare ferite di guerra”, dice il portavoce Naser, ex tecnico geometra in Svizzera. Come altri ex militanti dell'Uck, che erano immigrati negli Usa e in Italia, racconta di essere tornato in Kossovo nel 1999 per combattere l'esercito serbo. Ma dopo la guerra, l'Uck non è stato neanche menzionato nella costituzione del Kossovo. Con la conseguenza che coloro che vi hanno militato, non hanno neanche un sussidio per acquistare medicinali. Che in Kosovo non vengono offerti dal servizio sanitario pubblico, ma hanno prezzi europei: impossibili per stipendi medi che non raggiungono i 200 euro.
Così, dall'Uck, c'è chi è uscito capo del governo e chi si ritrova a fare lo sciopero della fame per un riconoscimento economico che gli permetta di curarsi. Perché sorti così diverse? Mi risponde Arkan, il giovane imprenditore incontrato al caffè Papillon: “Quegli uomini sono in sciopero della fame perché hanno smesso di lottare!” Poi mi racconta di un ragazzo che ha studiato teatro con lui e che ha ucciso molte persone. E che cosa fa ora? “Il manager!”
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