A 10 anni volevo fare la giornalista e mi sono inventata un notiziario del condominio. Poi è venuta la passione per il mondo. Con quel brivido creativo che ti attraversa quando senti una storia e il bisogno di raccontarla. Qui metto i reportage, le inchieste, le immagini, le emozioni che mi hanno lasciato le persone che ho incontrato.
giovedì 4 marzo 2010
LA PASIONARIA CON IL SARI
Una gamba bloccata dalla poliomelite non ha fermato la sua volontà di giustizia. E Kuhu Das, ha lasciato lavoro e famiglia per fondare l'Association of Women With Disabilities che di occupa delle ragazze disabili degli slum indiani. Sostenendole nella battaglia per i diritti, contro le barriere fisiche ma soprattutto mentali.
"Posso cominciare l'intervista con una canzone?" Prima di ricevere risposta, Kuhu Das dà vita a un dolcissimo e malinconico canto orientale sfoggiando una splendida voce femminile. Poi si interrompe e torna al consueto tono risoluto: "Vuoi sapere cosa vogliono dire le parole? Ecco: «Io non ricevo cure, non ricevo rispetto, non ho dignità, io ho una vita davvero terribile». Questo, è quello che dice la canzone". E questa è la situazione delle donne disabili in India, come ci racconta la giovane direttrice dell'Awwd (Association of Women With Disabilities).
Abusi ed emarginazione
"Le donne disabili in India subiscono in silenzio una violenza che va dalla mancanza di cura e dalla privazione del diritto all'istruzione, fino a abusi fisici e psicologici veri e propri. Ciò accade a partire dalla famiglia, fino ai centri di accoglienza", dice, sottolineando come il problema tenda a essere ignorato anche dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani. "Nè nelle conferenze sui diritti delle donne, nè negli incontri per la tutela dei disabili se ne vuole parlare. Per questo devo sempre alzare la voce!" Con grandi occhi vispi e un senso dell'umorismo sempre pronto, Kuhu ha percorso, a dispetto della gamba bloccata dalla poliomelite, più strada di quanta il suo giovane volto farebbe credere. A cominciare dalla creazione di una delle prime associazioni a tutela delle donne disabili in India, la prima in cui parte dei soci e il 60 -70 per cento dello staff, è costituito da ragazze con disabilità.
"Senza stampelle io non posso camminare, a causa della poliomelite che ho avuto a tre anni. Crescendo con questa disabilità, ho dovuto affrontare molti ostacoli nella mia vita", dice Kuhu spiegando il percorso che l'ha condotta a fondare e dirigere l'Awwd. "Le prime sfide sono venute proprio da parenti e amici di famiglia. Molti di loro dicevano a mia madre che doveva aver sbagliato qualcosa nella sua vita passata, per essere stata punita con una figlia disabile". Kuhu racconta che, nonostante le critiche, la madre è stata molto forte, sostenendola nell'andare a scuola e nel completare la sua istruzione. Così Kuhu si è laureata, ha fatto un master in comunicazione di massa e ha cominciato a lavorare nel campo dell'empowerment delle donne in India. "Ma le organizzazioni di donne, non lavoravano mai per i diritti delle disabili e quando chiedevo loro di occuparsene mi rispondevano di farlo io stessa", racconta. "Era una sfida per me, ma ho deciso. Ho lasciato il mio lavoro, la mia famiglia e ho fondato questa associazione".
Donne a metà
Nel 2002 è così nata l'Awwd, la prima associazione indiana che si occupa di donne disabili coinvolgendo alcune delle beneficiarie, nel lavoro di sostegno e inserimento sociale e lavorativo di altre ragazze. Una sfida enorme, in un paese dove, come denuncia Kuhu, "le circa 40 milioni di donne disabili, sono vittime di un numero doppio di aggressioni e violenze, rispetto a quelle normali, ma sono anche le meno protette e assistite". E dove "la sterilizzazione forzata è uno dei rischi di tutte le donne diversamente abili, soprattutto mentali". "In generale nell'Asia Centrale – spiega Kuhu - il ruolo della donna è quello di sposarsi e avere bambini, ma se sei disabile non potrai essere una brava madre, una brava donna di casa. Se hai una deformità, non sei bella. Così nessuno ti sposerà. E nessuno ti considera una donna completa".
La direttrice di Awwd descrive poi la situazione che quotidianamente la sua associazione combatte: "Le ragazze disabili sono molto oppresse già nelle loro famiglie: nessuno pensa che debbano avere l'opportunità di studiare, ogni investimento su di loro è considerato una perdita di soldi. Vengono lasciate a casa e basta. Viene detto loro continuamente che sono persone inutili, così che cominciano ad esserne convinte esse stesse". Aspetto fondamentale del lavoro dell'Awwd, che attualmente opera in 15 aree del paese, beneficiando circa 5.000 ragazze, è quindi innanzitutto: "Fare capire loro, che nessuna persona è inutile, che ognuno è un essere umano e ha del potenziale da utilizzare al massimo, che non si deve avere vergogna delle proprie disabilità. Ciò porterà le ragazze ad avere una dialogo con il resto della società, a pretendere il rispetto e la considerazione cui hanno diritto".
Ricreare fiducia
"Quando cominciamo a lavorare in una nuova zona, ci sediamo con le donne e discutiamo a lungo cercando di tirare fuori la loro rabbia, gli abusi subiti, ma soprattutto i desideri che non hanno mai potuto esprimere". Poi l'associazione cerca di sostenere i progetti individuali, con mezzi materiali, come sedie a rotelle e computer, e con corsi di formazione professionale. "Ma il percorso di consapevolezza non è facile nè veloce - dice Kuhu - è un lavoro sulle ragazze ma anche sulla loro famiglia che dura 2-3 anni. E' difficile soprattutto negli slum a maggioranza musulmana, dove la collettività ha idee più tradizionali". Per questo vengono creati dei gruppi: "Così le ragazze possono sostenersi tra di loro, esprimere le loro sofferenze e comprendere i loro diritti, per poter rispondere agli abusi, fisici e psicologici di cui sono vittime". Le attività lavorative in cui le ragazze, vengono inserite sono soprattutto lavori di cucito e piccole attività commerciali. "Quando iniziano a guadagnare dei soldi, nelle famiglie cominciano a rispettarle di più".
"Abbiamo molte storie di successo!" Esclama Kuhu, mostrando le foto di alcune delle sue ragazze, raccolte in un calendario nella sede di Pangea Onlus, la ong italiana che sostiene alcuni progetti di Awwd. "Presto ho capito che nell'associazione non potevo fare tutto da sola, avevamo bisogno di varie altre leader come me. Così abbiamo formato alcune delle ragazze che erano state beneficiarie dei gruppi di empowerment, nella leadership di nuovi gruppi". Un ruolo che non ha trovato ostacoli nella mancanza di mobilità o di vista di alcune donne dello staff di Awwd. "Tabassum è cieca ma è diventata una leader molto coraggiosa", "Soni, che ha una disabilità motoria, ha motivato Ayesha che è cieca", "Lei è stata gravemente abusata, ma, è riuscita a reagire" "Banya ha creato una piccola attività di produzione di bastoncini di incenso".. E poi ci sono quelle come Nisha, che non era mai andata a scuola a causa della sua disabilità motoria, ma che dopo aver ottenuto una formazione per l'apertura di un'attività commerciale è diventata sia una piccola imprenditrice che una formatrice e promotrice di gruppi di empowerment. Ora si considera "una donna d'affari e una datrice di lavoro". L'indipendenza economica è fondamentale, dice Kuhu: "Adesso tutta la comunità sta attenta a come parla a queste ragazze".
pubblicato anche sulla rivista Vps (Volontari per lo Sviluppo): www.volontariperlosviluppo.it
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