SI CHIAMA PIETRO RUSSO, È UN PESCATORE DI MAZARA. E SALVA I MIGRANTI DALLA MORTE
di Ludovica Jona - tratto da l'Unità 21-06-2012
Quando ho conosciuto il capitano Pietro Russo, con sua moglie
Giovanna, nel locale che gestiscono a Mazara del Vallo, mi raccontò che
non era riuscito ad assistere alla nascita del suo primo figlio, che ora
ha 32 anni: era detenuto in Tunisia per conflitti sul mare
territoriale. Sorridevano Pietro e Giovanna mentre parlavano di quei
momenti di gioia e angoscia, come si fa con una vicenda passata cui si è
fortunosamente si è scampati. Oggi Giovanna e il primogenito Giuseppe,
ormai un uomo, sono nuovamente in ansia e in attesa di Pietro,
sequestrato il l 7 giugno con gli altri dodici uomini dell'equipaggio
del peschereccio Boccia II, nella città libica di Bengasi.
E nell'incertezza della Libia del dopo rivoluzione la preoccupazione è maggiore.
«Dopo una settimana di carcere ci hanno permesso di tornare nel peschereccio», racconta al
telefono Pietro Russo. «Siamo agli arresti domiciliari. Non possiamo scendere dalla barca e a terra
la situazione è pesante. Sulla banchina c'è di tutto: macchine che girano senza targa, ragazzi con le
armi nascoste e nessuno che controlla. Un Far West». Certo è meglio che in carcere. «Lì siamo stati
in 13 persone, tutto l'equipaggio, in una cella, vicino a dei criminali di guerra. Un uomo aveva
ucciso dieci persone quando faceva parte delle milizie di Gheddafi. Poi c'era gente fuori di testa
che ce l'aveva con noi stranieri, ci minacciava..».
Il motivo del sequestro di Russo è una battaglia, senza regole, per le zone di pesca nel
Mediterraneo: la Libia nel 2005 ha infatti proclamato
unilateralmente un’area protetta che si estende per 62 miglia, la metà
delle acque tra la costa libica e l'isola di Lampedusa: 74 miglia
pescosissime perché il mare è profondo e non è solcato da rotte
commerciali. Limite che i pescatori di Mazara del Vallo si rifiutano di
rispettare, rischiando così continuamente il sequestro di pescherecci
e equipaggi. Come il Boccia II che il 7 giugno è stato intercettato a 40
miglia dalla costa libica.
«Quando le motovedette libiche ci hanno sequestrato, ci hanno detto che ci avrebbero subito
liberato ma poi il giudice ha decisoche si dovrà fare un processo. Siamo in attesa».
LA DIATRIBA INFINITA
Le battute di pesca per i pescatori mazaresi sono di circa 40 giorni. Lunghi periodi di navigazione
nel Mediterraneo in cui – anche al tempo di tecnologie radar e smartphone - l'unica certezza è
l'imprevedibilità degli eventi. Come quell'incredibile momento in cui, forse per ripagarlo di quella
nascita cui non ha potuto assistere, il mare in tempesta ha portato tra le braccia del capitano Russo
un fagotto di coperte che avvolgeva una bambina piccolissima. Era un mare così arrabbiato quel 28
novembre 2008 che il Ghibli - il peschereccio che allora Russo guidava - era stato chiamato via
radio dalla capitaneria di porto di Lampedusa per soccorrere un barcone carico di migranti in balia
delle acque agitate a 10 miglia a sud est dell'isola. «Ci siamo trovati davanti ad una scena
agghiacciante: ragazzi di 15 o 16 anni erano in una barchetta piena in modo incredibile di persone,
ad occhio 300-350, che piangevano e urlavano – raccontava il Capitano Russo - bisognava agire in
fretta perché imbarcavano acqua. Così mentre gli altri due pescherecci di Mazara, il Monastir e
l’Ariete, li proteggevano da un vento forza 5, noi li abbiamo caricati. Approfittando della risacca li
abbiamo fatti salire a bordo ad uno ad uno. Un'operazione rischiosissima». Subito dopo la fine del
trasbordo il barcone, su cui viaggiavano rifugiati somali, eritrei e etiopi, è affondato sotto gli occhi
dei marinai mazaresi. «E in tutta quella confusione il primo ad arrivare a bordo, è stato quel fagotto.
L'ho aperto e mi sono trovato di fronte una bambina, piccolissima – racconta – mi ha sorriso e ho
dimenticato tutto il resto. Aveva tanta voglia di giocare, dopo tutto quel buio». Non è l'unico
episodio in cui il capitano, ora detenuto a Bengasi, ha salvato delle vite. L'altro risale al 2006.
Tornando da una battuta di pesca aveva incontrato un'imbarcazione di migranti che chiedeva aiuto.
Il peschereccio si era avvicinato, ma nella foga di salire a bordo, o forse spaventati da alcuni delfini
che saltellavano intorno, i naufraghi si erano spostati tutti su un
lato e la barchetta si era capovolta.«Ci siamo trovati a dover salvare
una ventina di persone che non sapevano nuotare - racconta il Capitano
-. I primi ad avvicinarsi sono stati un uomo e una donna, una coppia:
abbiamo preso il marito ma non lei, ci è sfuggita di mano e si è
lasciata andare nelle onde. Poi, abbiamo saputo che aveva con sé un
bambino di pochi mesi che le era sfuggito nel rovesciarsi della nave.
L'ho vista affogare con i lunghi capelli neri che si allargavano
nell'acqua. Alla fine ne abbiamo portati a riva ventuno su ventitré. Ma
per lei e il bambino non c'è stato niente da fare. Un dolore grande».
Oggi è il capitano Russo a chiedere aiuto: «Siamo pescatori onesti e
chiedo che l'Italia non ci lasci soli».
Monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo spera e prega. E non si stanca di
rimarcare: «Al di fuori di emergenze come questa che stiamo vivendo è necessario raggiungere un
accordo, garantito dal diritto internazionale su quelle 74miglia. Non è un problema di tre
pescherecci (insieme al Boccia II sono stati sequestrati i motopesca Maestrale e Antonino Sirrato,
nda) e una città, Mazara del Vallo. Questa è una questione cruciale per il Mar Mediterraneo, che è
un bacino commerciale, ma soprattutto un ecosistema che determina le condizioni di tutta l'Europa.
Questo mare è un mare di tutti, un luogo che deve permettere ai popoli di incontrarsi e vivere,
possibilmente in pace».
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