UNA PIECE DEI BAMBINI CAMBOGIANI CONTRO GLI ABUSI DEL TURISMO SESSUALE
Di Ludovica Jona
Reportage pubblicato su L'Unità - 18/09/2012
Sok sbatte con violenza la bottiglia sulla schiena di Keat: E' ubriaco e picchia la moglie che, per mancanza di soldi, non ha preparato la cena. Poco dopo, quando arrivano due donne ben vestite che gli propongono di anticipargli il denaro per far lavorare le due figlie in città, acconsente senza esitazione. Le ragazze cominciano così a essere schiavizzate dalle due "ladies" che contrattano il loro prezzo sul mercato del sesso. Le vicende delle due giovani sono parte di uno spettacolo teatrale realizzato da Ecpat, rete internazionale di ong contro lo sfruttamento sessuale dei minori, per coinvolgere gli adolescenti nella lotta contro l'abuso a Rusey Keo, quartiere della periferia di Phnom Penh. Una platea di ragazzini, che segue con attenzione gli avvenimenti sul palco, esplode in urla eccitate nel momento in cui "il cliente" esce dall'angolo in cui una delle ragazze è stata relegata, facendo il gesto di riallacciarsi i pantaloni. "Bene ragazzi, ma ricordate che questo spettacolo non è solo per intrattenervi: Dovete comprenderne il senso per proteggervi dagli abusi e insegnarlo agli altri bambini del quartiere": Eng Kalyan è responsabile del progetto, che è stato lanciato in questi giorni nella capitale della Cambogia per mettere un freno al fenomeno che sta rubando l'innocenza a una generazione: delle circa 60.000 persone che si stima siano coinvolte nella prostituzione, secondo l'Unicef il 30-35% sono minorenni.
Di sera, sul lungofiume dei Phnom Penh, a due passi dal Palazzo Reale, la zona turistica della città, è facile incontrare giovanissime ragazzine o adolescenti locali che accompagnano uomini occidentali di età avanzata. Ma questa è solo la punta dell'iceberg del fenomeno perché nella maggior parte dei casi gli abusi sui minorenni sono compiuti da uomini asiatici: "Oltre a essere meno visibili, sono più furbi degli occidentali - spiega Chin Chanveasna, direttore di Ecpat Cambogia – invece di esporsi in strada, chiedono a un protettore che il minore gli venga portato direttamente in albergo". La prostituzione minorile è alimentata in Asia dalla convinzione che unirsi a una vergine purifichi e dia potere. Per un rapporto sessuale con una di loro, uomini d'affari cinesi o sudcoreani, ma anche alti funzionari e militari cambogiani, sono disposti a pagare tra gli 800 e i 4.000 dollari. Una benedizione per una famiglia povera in un paese dove il salario di un'operaia è 50 dollari, ma anche una porta d'accesso, pericolosamente diffusa tra le ragazze, alla strada senza uscita della prostituzione. Secondo una ricerca realizzata nel 2010 da Ecpat Cambogia, più di un terzo delle prostituite intervistate è entrata nella prostituzione intorno ai 16 anni, vendendo la verginità. Quasi la metà di queste è stata costretta a farlo con la forza. E', probabilmente, quello che è successo a Ieng, incontrata in un bar del quartiere a luci rosse di Mai Da, nella periferia di Phnom Penh: Oltre un centinaio tra karaoke bar, centri massaggi e nightclub - che sono bordelli travestiti, poiché formalmente la prostituzione in Cambogia è illegale - più un indotto di guesthouse per consumare i rapporti, bancarelle aperte tutta la notte e supermercati che accanto alle casse, oltre ai preservativi, espongono confezioni di viagra.
Ieng ha la pelle chiara, molto ambita da queste parti, un fisico minuto e modi infantili che stridono con il trucco pesante. All'inizio mi osserva preoccupata perché non è comune vedere donne, per di più occidentali, in un bar karaoke. Poi smette di darsi pensiero, sorride e si concentra sui due ragazzi locali che sono con me e si mostrano in cerca di compagnia. A loro dice di avere 20 anni anche se ne dimostra 16 o 17. Dopo bicchieri di birra svuotati e riempiti, brindando ogni volta, come si fa in questi posti, racconta di essere nata in Vietnam e di essere arrivata qui due anni fa, perché la famiglia non aveva più i soldi per farla studiare. Per 2000 dollari ha venduto la sua verginità a un "rich man" cinese e ora lavora come beer girl: Accompagna i clienti del bar mentre bevono birra e se vogliono negozia una prestazione, che in media costa dai 15 ai 25 dollari, 10 dei quali restano al locale. Accanto a Ieng c'è Meas, anche lei sembra giovanissima, nonostante una impegnativa pettinatura alla "madame butterfly". Dice di essere nata della provincia di Phnom Penh e di aver deciso di diventare beer girl perchè nella fabbrica di vestiti cinese dove lavorava prima, guadagnava solo 40 dollari al mese, non abbastanza per vivere. Le beer girl lavorano solo la sera, guadagnano di più (oltre ai clienti, il bar paga circa 80 dollari al mese, anche se ne detrae 10 per ogni giorno di assenza) e, teoricamente, non sono costrette ad avere rapporti sessuali con i clienti del bar. Questo però, in pratica, non avviene quasi mai. Anche se le loro storie risultano verosimili, non posso essere certa che quello che Ieng e Meas ci hanno raccontato sulle loro vite sia la verità. Ci sono aspetti che le ragazze imparano subito a nascondere dietro i sorrisi ammiccanti. Secondo l'edizione 2010 del Database report on sexual trafficking, Exploitation and Rape realizzato analizzando i dati di un centinaio di associazioni attive per i diritti dell'infanzia in Cambogia, il tramite per entrare nella prostituzione è nel 60% dei casi è un conoscente, nel 13% dei casi un parente, nel 9,2% addirittura un genitore, a volte non pienamente consapevole. "I bambini tendono a pensare che lo sfruttatore sia uno straniero, una persona lontana dal loro mondo, ma la maggior parte delle volte non è così", mi spiega Kalian, in una pausa delle prove dello spettacolo. "Con questa performance i ragazzi hanno la possibilità di riflettere su situazioni difficili che fanno parte della loro quotidianità più di quanto si rendano conto". "La violenza intrafamiliare e il maltrattamento dei bambini, sono primi passi verso il loro futuro abuso". Per questo nella rappresentazione teatrale viene messa in scena anche la famiglia "buona" dove i genitori dialogano con i figli e riescono a dire di no alle lusinghe degli sfruttatori.
E' importante che i ragazzi imparino a difendersi da soli perchè, nonostante le pressioni delle ong abbiano portato nel 2008 all'approvazione di una legge contro lo sfruttamento sessuale dei minori, la corruzione diffusa tra polizia e funzionari pubblici rende molto difficile farla rispettare. Per rendere l'idea, il rapporto "Trafficking in Persons 2009" del Dipartimento di Stato americano cita il caso dell'ex presidente della Corte d'Appello cambogiana rimosso dall'incarico nel 2007 con l'accusa di aver accettato 30.000 dollari in cambio del rilascio di due proprietari di bordelli. "Vogliamo che i bambini siano protagonisti della diffusione dello spettacolo, oltre che della sua messa in scena", dice Kalian, “so che possono farlo e solo loro possono cambiare le cose!" Il progetto, che coinvolge una trentina di ragazzi dagli 8 ai 16 anni è stato finanziato grazie al sostegno dei loro "padrini" a distanza italiani. Con Mak Ravieng, presidente dell'associazione locale che gestisce le adozioni a distanza garantite da Ecpat Italia, andiamo a visitare alcune delle famiglie dei bambini sostenuti. Trentatre anni, una bellezza elegante, non è facile indovinare che Ravieng è cresciuta in un orfanotrofio. Grazie a un "padrino" francese si è laureata in psicologia e da tre anni guida un'associazione che gestisce oltre 1000 sostegni a distanza. Oun è una vivace ragazza 16 anni che ama recitare e danzare, sempre impeccabile nella sua divisa. E' una sorpresa scoprire il luogo in cui vive: Una tettoia di metallo che copre un grosso letto matrimoniale dove dorme con la madre e il fratello, dietro a uno sgabuzzino pieno di pentole e vestiti, in disordine per colpa del monsone da poco esaurito. La madre vende in strada dolci di riso, ma Oun, che è molto brava a scuola, vuole diventare dottore. Così il programma la sosterrà all'università l'anno prossimo. "Possiamo pagarti la bicicletta per andare all'università, il motorino no, o almeno non tutto. Pensa cosa sia meglio per te", le dice Ravieng, mentre assaggiamo i dolci di riso.
L'ultima delle sette famiglie che visitate quel giorno vive al secondo piano di casa in muratura. La madre delle due ragazze ci accoglie indossando un pigiama bianco con i fiori rossi: Sono le cinque del pomeriggio, ma lei si è svegliata da poco. Lavora come beer girl in un karaoke bar ed è sieropositiva da anni. Le due figlie hanno entrambe la sua bellezza ma una, la più grande, ha ereditato anche il male. Capisco subito quale delle due è. Mentre Sokya è radiosa di vita, Chun ha lo sguardo perso e a 14 anni appare già esausta, anche quando sorride. Perchè in questa famiglia, di sole donne dopo che il padre è morto di aids, nonostante il male, tutte sorridono: La madre, le due sorelle, la cugina che è venuta a trovarle, la nonna con il bel volto energico incorniciato da corti capelli bianchi. Chun va male a scuola e allora Ravieng le chiede se Sokya, invece molto brillante, l'aiuta: "Si, si, studia con me", assicura la sorella. Stiamo per andarcene quando Sokya si rivolge a Ravieng: "Da grande anche io voglio essere come voi, voglio lavorare in una ong per aiutare gli altri bambini!"
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