“Le sole cose che lo attraevano al mondo erano l’urbanistica, la psicanalisi, la filosofia e la religione”, così Natalia Ginsburg in “Lessico Familiare” parla di suo cognato Adriano Olivetti, Questo imprenditore fuori dal comune, guidò per un trentennio la storica azienda di macchine da scrivere e fu protagonista della sua straordinaria crescita. Oggi il nome Olivetti non rimanda più ai concetti di qualità, innovazione ed espansione commerciale, ma resta legato all’idea di apertura ai lavoratori e ricerca di incontro con le esigenze sociali dell’epoca.
Varie furono le iniziative che Adriano volle collegare alla
sua industria: progetti urbanistici e sociali per migliorare la vita degli
operai, ma anche una casa editrice e il movimento politico “Comunità” che
perseguirono crescita culturale e sviluppo locale. In tempi in cui era
inimmaginabile, ha così realizzato l’attuale concetto di “responsabilità sociale
d’impresa”.
“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi
semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente
qualcosa di più affascinante , una destinazione, una vocazione anche nella vita
di fabbrica?” Questa la domanda ricorrente, che ha accompagnato Adriano
nell’evoluzione dell’Olivetti.
Anche l’avventura industriale di Adriano comincia con un
viaggio in America. Nel 1925, ventiquattrenne, fresco di laurea in ingegneria
al Politecnico, il giovane Olivetti trascorre quasi sei mesi visitando fabbriche
e raccogliendo letture sull’organizzazione del lavoro di fabbrica negli Stati
Uniti. L’interesse con cui aveva letto “Principi di organizzazione scientifica
del lavoro” di Taylor, si trasforma in meraviglia, con la visione della sua applicazione nella
fabbrica Ford. Adriano torna dagli Usa con progetti di un capovolgimento della
situazione esistente nella fabbrica: organizzazione del personale decentrata e
distinzione per settori di attività. Inoltre vuole un gruppo di dirigenti che
non si limiti a alla gestione delle attività normali, ma accumuli esperienze e
idee per anticipare le nuove esigenze. Ne consegue la sostituzione dei capi
formati con la gavetta, con gli ingegneri 110 e lode del Politecnico. Camillo
lascia fare ma ammonisce:”tu puoi fare qualunque cosa, tranne licenziare
qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi, perché la
disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe
operaia”.
Le trasformazioni aziendali non impediscono agli Olivetti
l’attività antifascista, e Adriano è tra i promotori di proteste contro il
delitto Matteotti e partecipa alla fuga di Turati. Seguì il matrimonio con
Paola Levi, sorella di Natalia poi sposata Ginsburg, e un lungo viaggio di
nozze in Europa.
In seguito alla riorganizzazione dell’industria, Adriano
sente il bisogno di andare oltre, di operare anche su ciò che c’è fuori dalla
fabbrica e che tuttavia è collegato con il lavoro che vi si svolge. I principali progetti con cui l’Olivetti
persegue scopi sociali, sono opere d’urbanistica: case per impiegati, case
popolari, e il nido d’infanzia d’Ivrea sono costruite per creare “un’atmosfera
di luminoso ottimismo”. Anche la nuova fabbrica, che inizia a progettare nel
1934, è caratterizzata da un’ampia parete di vetro che lascia finalmente
filtrare la luce. Adriano apre inoltre una galleria di negozi dove si entra
“non per comprare, ma per vedere, per cogliere un’immagine diversa”.
L’obbiettivo di condurre ad una sviluppo delle nuove idee e
alla crescita dell’istruzione, sarà perseguito anche con la creazione nel 1941
della Nei, la “Nuove Edizioni Ivrea”. La casa editrice, tratterà di psicologia,
di letteratura, di economia.. Per aprire agli italiani quell’orizzonte che il
provincialismo fascista negava. In quel periodo Adriano, di padre ebreo e madre
valdese, ha ripetutamente bisogno della certificazione di “razza ariana” da
parte della Questura di Aosta. Tuttavia egli sceglieva collaboratori quasi
tutti ebrei, o, come lui, “mezzo ebrei”, che considerava segno di vitalità di
spirito.
La guerra mondiale non danneggia l’industria Olivetti: nel 1942
ha 4.673 dipendenti e produce oltre a 64.000 macchine da scrivere e più di
2.500 macchine da calcolo, mostrando i frutti della riorganizzazione. Adriano,
che non dubita della vittoria della vittoria della superiorità delle potenze
alleate, legge tutti i programmi dei movimenti clandestini antifascisti ed
elabora egli stesso un documento. Ha inoltre un piano di cospirazione contro il
regime, perseguendo il quale viene incarcerato a Roma nell’estate del ’43 e
liberato poco dopo l’8 settembre, “con ordine di scarcerazione a firma
illeggibile” secondo la questura di Roma.
Durante l’occupazione tedesca Adriano era a Roma e con altri
antifascisti frequentava la casa di mio nonno Alberto Jona che conosceva dalla gioventù a
Torino e che ora lavorava come ingegnere per la Olivetti. Fu in quel periodo
che, essendo incarcerato e poi trucidato Leone Ginsburg, Adriano andò a
prendere Natalia che non era più al sicuro e lasciò per alcuni giorni ai miei
nonni uno dei figli. Lei lo racconta così: “M’aiutò a fare le valigie, a vestire i bambini; e
scappammo via e mi condusse da amici che acconsentivano ad ospitarmi. Ricorderò
sempre la sua schiena china a raccogliere per le stanze i nostri indumenti
sparsi, le scarpe dei bambini con gesti di bontà umile, paziente”.
Il progetto di Adriano Olivetti per il dopoguerra era
fondato sull’idea di “Comunità”, come superamento dell’individuo liberale e
dello stato collettivista, come egli definì nel L’”Ordine politico delle
Comunità”: “una comunità né troppo grande né troppo piccola, concreta,
territorialmente definita, dotata di vasti poteri, che desse a tutte le
attività quell’indispensabile coordinamento, efficienza e rispetto della
cultura umana, della cultura e dell’arte, che si era realizzato in una singola
industria”. Immagina l’Italia scomposta in 400-500 comunità e ricomposta su
base federale. Vuole che la comunità resti il centro dell’autogoverno e i
gradini superiori ne assicurino solo il coordinamento con lo Stato”. Come
strumento propone le ISA-Industrie Sociali Autonome, o le AAA-Associaizoni
Agricole Autonome, dove lavoratori, comunità e università partecipano assieme
alla proprietà e alla gestione. Prevede il passaggio in forme pacifiche con il
riscatto delle azioni degli eredi da parte della comunità, alla morte del
fondatore.
Subito dopo la seconda guerra, Adriano è più attratto dal
suo progetto di riforma sociale che dalle questioni della fabbrica, per cui
parte per Roma lasciando la gestione della Olivetti al fratello Massimo. Nel
1946 tuttavia, deluso dalle speranze del dopoguerra torna a Ivrea nel ruolo di
Presidente. Rilancia la fabbrica con una politica di alta tecnologia
(calcolatrici) e innalzamento dei salari. Gli altri famigliari sono contrari al
progetto di utilizzare la fabbrica come mezzo per una nuova politica sociale.
Tuttavia Adriano fa nascere la rivista “Comunità” che persegue tali ideali e
mira a trasformare la regione attorno a Ivrea in un laboratorio sperimentale,
in cui fa costruire biblioteche complete di ogni novità editoriale, centri di
assistenza medica e centri che organizzano mostre, convegni e corsi
professionali con attori della Rai o esperti di agronomia. Adriano chiama e
assume “senza obbligo di orario” intellettuali e anche contestatori e anarchici
per far parte degli organi di “Comunità”. In tutto questo la struttura restava
piramidale, al vertice restava sempre lui, l’ingegnere.
Adriano tentò anche di applicare nel meridione le idee
comunitarie, per migliorare si le condizioni materiali delle genti del sud, ma
in modo che queste non perdano la loro identità, “anzi contribuiscano a dare
al mondo operaio quella vitalità spirituale che sembra smarrita”.
Ludovica Jona- Ilcassetto.it
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