martedì 6 gennaio 2015

Psichiatria: quando sono i rifugiati ad accogliere gli italiani

A Trento 13 richiedenti asilo o titolari di protezione umanitaria convivono con utenti psichiatrici molto gravi. De Stefani (Apss Trento): “Valorizziamo il sapere esperienziale, considerando le persone non problemi ma risorse”

TRENTO - L’idea del progetto di convivenza tra rifugiati politici e pazienti psichiatrici è nata nell’ottobre 2012 dal dialogo e dall’incontro di bisogni di due amministrazioni locali della Provincia Autonoma di Trento, ognuna con l’urgenza di trovare una soluzione abitativa ai propri utenti: Da un lato il Servizio di Salute mentale - che non sapeva come sistemare pazienti psichiatrici molto gravi, bisognosi di attenzione speciale e di una famiglia oltre che di cure specialistiche - e dall’altro il Servizio Attività sociali del Comune di Trento, in cerca di una casa per un gruppo di rifugiati che, a causa della crisi economica, nonostante grandi capacità e qualità umane, non erano riusciti a trovare un lavoro sufficiente a coprire un affitto.
“Attraverso gli assistenti sociali dell’area inclusione del Comune siamo venuti in contatto con un gruppo di ragazzi provenienti dall’Africa subsahariana, con una grande ricchezza interiore, ma privi di un curriculum, della patente e soprattutto della rete di contatti necessaria oggi a trovare lavoro e quindi con una grossa difficoltà abitativa”, racconta Nicola Pedergnana, Capoufficio dei Servizi sociali non decentrati del Comune di Trento, riferendosi alla gestione dei migranti dati in affidamento all’ amministrazione locale in occasione dell’emergenza Nord Africa. Proprio dalla considerazione delle grandi capacità umane dei migranti arrivati a Trento da Lampedusa dopo aver affrontato guerra, carcere e persecuzioni, è nata l’idea di proporre ad alcuni di loro, dopo una formazione specifica, la possibilità di abitare con un paziente psichiatrico ricevendo un rimborso spese. La formazione, realizzata dal Cinformi (Centro Informativo sull’Immigrazione), in collaborazione con il Servizio Psichiatrico dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, è consistita in 60 ore di lezioni teoriche sulla salute mentale e 60 ore di tirocinio alla Casa del Sole (Struttura residenziale sanitaria gestita dal Servizio di Salute Mentale di Trento) o nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Spdc) dell’ospedale locale. Dei 45 formati, sono stati selezionati 13 rifugiati poi avviati in progetti di coabitazione. “In questo modo è stata fornita una base abitativa a dei ragazzi che possono con più tranquillità trovare altre occupazioni” afferma Pedergnana. Ma i benefici eccezionali sono derivati soprattutto ai pazienti psichiatrici che nella convivenza con i rifugiati hanno trovato una tranquillità abitativa e rapporti umani di qualità che prima non avevano e “da un anno non hanno più ricoveri ospedalieri”, come sottolinea Marina Cortivo, educatrice professionale e referente dell’”area abitare” Serviziosalute mentalediTrento.
Questo progetto nasce dall’idea di “valorizzare il sapere esperienziale”, spiega Renzo De Stefani, direttore del Servizio di Salute Mentale di Trento, “e dalla considerazione delle persone, non sempre come problemi ma anche come risorse”. Un concetto che, come sottolinea De Stefani, viene da anni utilizzato dal servizio di psichiatria del capoluogo Trentino attraverso il coinvolgimento attivo e retribuito degli Ufe (Utenti e Familiari Esperti) nei rapporti con i pazienti. 

Marzia trova pace con Eliane, fuggita da una dittatura

Da oltre un anno la quarantenne italiana, considerata caso molto difficile, ha avuto progressi nella gestione del disagio mentale, grazie alla convivenza con una donna originaria del Togo, dal carattere materno e fermo

TRENTO - “E’ figlia di una famiglia trentina doc, la cui unica reazione per le sue “stranezze” sono stati rimproveri, rimproveri e ancora rimproveri. La mancanza di affetto che ha sofferto, si è tramutata in un carattere esuberante ma antipatico, a tal punto da non essere più sopportato neanche in una clinica dove l’assistenza è tanto intensa da raggiungere il costo di 300 euro al giorno per persona”, così viene descritta Marzia, donna di 40 anni, in cura dai servizi psichiatrici di Trento fin da giovanissima età, considerata caso estremamente complicato da gestire e per questo, per anni condannata a instabilità abitativa oltre che mentale. Per Marzia il Servizio di Salute Mentale di Trento ha tentato  in passato diverse soluzioni abitative, tutte fallite: Cliniche, case famiglia, appartamenti con altri pazienti, passando da brevi ritorni in famiglia e ricoveri in ospedale. Da oltre anno la quarantenne italiana ha raggiunto una condizione di stabilità abitativa, ma anche dei miglioramenti nella gestione del disagio mentale, grazie all’avvio di un progetto di co-abitazione con Eliane, rifugiata politica del Togo. 

Quella di Marzia e Eliane è stata la prima esperienza del progetto di co-abitazione di pazienti psichiatrici con rifugiati politici, soprannominato “Neri per casa” e realizzato in collaborazione tra il Servizio Psichiatrico dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e il Servizio Attività Sociali del Comune di Trento: Le due donne convivono in una casa popolare messa a disposizione dal Comune e Eliane riceve un contributo per la gestione della casa. Non si tratta di un’assistenza h24, a differenza di quanto avviene in cliniche e case famiglia: Eliane fa altri lavori fuori casa e a Marzia si reca autonomamente e con regolarità al centro di salute mentale locale, dove vengono realizzate diverse attività creative e ricreative. Anche per questo, come sottolinea Marina Cortivo, referente dell’area “Abitare” del Serviziosalute mentaledi Trento, risultano notevoli i progressi nella gestione del disagio compiuti da Marzia: “Eliane è capace di darle affetto ma anche di dirgliene quattro e di rimetterla a posto quando esagera e tende a mancare di rispetto”.
“A volte è difficile vivere con lei perchè per avere attenzione è provocatoria - racconta Eliane, tra una battuta e l’altra con Marzia - quando vuole proprio farmi arrabbiare mi chiama “negretta”, e ho anche minacciato di andarmene portando la valigia in ingresso, ma a quel punto è corsa a chiedermi scusa”. “Quando Eliane, è stata un mese fuori dall’Italia, Marzia è stata quasi ricoverata”, racconta Cortivo, ma in generale ha fatto grandi miglioramenti: “Da quando sa che ha una casa e c’è Eliane che vi tornerà, Marzia ora tollera anche momenti di solitudine”. 

Jean e Mambaye, da Lampedusa al ruolo di “capofamiglia” a Trento

Jean della Costa D’Avorio e Mambaye del Senegal, sbarcati durante l’emergenze Nord-Africa, sono stati scelti come referenti di due progetti di co-abitazione per pazienti psichiatrici

TRENTO - Jean, 27 anni, rifugiato della Costa D’Avorio, arrivato a Lampedusa un anno fa, non immaginava di diventare responsabile di un appartamento abitato da un’anomala famiglia di uomini italiani a Trento. Arrivato nel capoluogo trentino durante l’"emergenza Nord-Africa", il ragazzo ivoriano è stato selezionato per partecipare al corso di formazione organizzato dal Cinformi (Servizio di Informazione sull’Immigrazione) per la preparazione di persone disponibili a convivere con pazienti psichiatrici gravi, nell’ambito del progetto realizzato dal Servizio Psichiatrico dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (Apss) in collaborazione con il Servizio Attività Sociali del Comune di Trento. Così Jean da qualche mese convive con tre uomini italiani con disagio psichico di diverso livello, in un appartamento in centro città, gestito del Servizio Psichiatrico dell’Apss.
A Jean è stato affidato Luca, diciannovenne con lieve ritardo mentale e grave disagio psichico, adottato in Brasile da una famiglia trentina, ma cresciuto gli ultimi 5 anni in una casa di cura ad alta intensità assistenziale. “Dato che aveva problemi di violenza, nel senso che era manesco, non gli hanno fatto mai tenere in mano un coltello neanche a tavola, con il risultato che a 20 anni non sa neanche tagliarsi la carne, oltre ad essere semi-analfabeta per non aver frequentato le scuole che un giorno a settimana” spiega la referente le progetto. “Quando è arrivato qui non sapeva nè lavarsi nè vestirsi”.  Con Jean il problema della violenza di Luca è stato affrontato, piuttosto che evitato, come avveniva quella clinica specializzata, per la cui convenzione con l’Apss di Trento ha speso in cinque anni circa 400 milioni di euro: “Quando il ragazzo ha provato a toccarlo, il giovane rifugiato africano l’ha sollevato, lo ha guardato negli occhi e gli ha detto di non riprovarci mai più. E così è stato finora”, afferma Marina Cortivo, referente dell’area “Abitare” del Serviziosalute mentaledi Trento.
Oltre a Luca e Fabienne nella casa gestita dall’Apss, abitano Riccardo, ex restauratore di grande cultura separato da una famiglia con due figli in seguito a una grave depressione, e Aldo, trentenne che sta cercando di uscire da una condizione di disagio psichico maturata in seno a un nucleo familiare problematico: “So di avere avuto una sfortuna con la malattia mentale che devo affrontare ogni giorno, dice, ma non è niente rispetto ai drammi da cui provengono Fabienne e Riccardo, dice, devo andare avanti”. I risultati della convivenza gestita da Jean sono stati eccezionali, sottolineano volontari e operatori, ma lo afferma anche lo stesso Luca che prima non parlava con nessuno e oggi racconta: “Prima ho litigato con Aldo per una sigaretta. Ma poi ci ho parlato, ci siamo capiti e ci siamo abbracciati”.
“Erminio è conosciuto da tutti i dipartimenti di salute mentale della Regione. Avrà avuto oltre un centinaia di ricoveri in Spdc (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura), tutte con necessità di lavanda gastrica per aver ingerito accendini o lamette. Il suo modo di cercare attenzione”: Così viene descritto l’uomo con evidente ritardo mentale e disabilità fisica, oltre al disagio psichico, per cui il Servizio di Salute Mentale di Trento ha avviato un progetto di co-abitazione con Mambaye, originario del Senegal e arrivato in Italia dalla Libia circa un anno fa. Erminio ha trovato una situazione di tranquillità e stabilità abitativa grazie al ragazzo africano ma anche grazie a Donata che è stata in passato sofferente di disagio psichico e che ora vive nel loro stesso appartamento. "Prendermi cura di Erminio fa stare bene anche me", dice la donna che lo segue sia materialmente, occupandosi delle sue pulizie, sia affettivamente, dandogli l’attenzione e l’amore di cui ha bisogno. “Sono stata abusata in famiglia e sento di aver sofferto lo stesso suo problema”, dice e, anche se a breve andrà a lavorare come badante da una signora anziana,“mia intenzione è diventare la sua famiglia” afferma. Al momento sono otto mesi che Erminio non viene ricoverato e sta cominciando anche ad abbandonare i farmaci.
Pubblicato su Agenzia Redattore Sociale - 18 novembre 2013

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