mercoledì 1 aprile 2009

RIFUGIATA DENUNCIATA DOPO IL PARTO A NAPOLI

Una donna con diritto di protezione internazionale. Le avevano ucciso il marito nel sangiunoso conflitto civile della Costa d'Avorio. La fuga era stata una decisione dolorosa e sofferta, non una scelta di vita, un'avventura per migliorare lo stato economico e sociale. Se non darlo a lei, a chi l'asilo politico? Eppure la commissione territoriale italiana per l'esame della domanda di asilo le aveva rifiutato ogni protezione. Lei aveva però avviato la procedura per il ricorso. Non era clandestina in Italia, quindi. Ma non è bastato. I medici del Fatebenefratelli di Napoli l'hanno fatta partorire, poi hanno preso un fax e l'hanno denunciata. Ancora non c'è la legge che permette la denuncia degli irregolari, oltre al fatto che la donna non lo era. L'episodio mostra che non è vero, che i medici non denunceranno. Molti, non vedono l'ora.

La vergogna è immensa, immensa. Ma proprio il profilarsi di un caso come questo aveva convinto la Mussolini (ne avevam parlato in un post precedente) a intraprendere un'azione contro l'approvazione della legge vergogna che permette ai medici di denuciare gli immigrati irregolari. Spero che questo caso serva d'avvertimento a tutti i parlamentari, che sono donne e uomini, madri e padri, oltre che politici.


Ecco l'articolo di La Repubblica Napoli:
Clandestina denunciata dai medici dopo il parto al Fatebenefratelli

Un fax alla polizia contro una madre clandestina della Costa d'Avorio. Ma la contestata legge non è ancora in vigore

Ora Abou sorride in una culla povera, dentro le case-alveare per immigrati clandestini o regolari di Pianura. È un neonato nero che non sa di avere ventisei giorni di vita e, alle spalle, già un'amara esperienza del mondo. Abou è il volto di un caso politico e sociale. Forse la prima volta in Italia in cui una norma - quella voluta dalla Lega nel pacchetto sicurezza, quella che invita i medici a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno: ma a tal punto controversa da avere spaccato persino i compattissimi deputati del Pdl - è stata applicata prima ancora di diventare tale.

"Un caso illegittimo, gravissimo", denuncia l'avvocato napoletano Liana Nesta. "Delle due l'una - aggiunge il legale - o nell'ospedale napoletano Fatebenefratelli c'è un medico o un assistente sociale più realista del re che ha messo in pratica una legge non ancora approvata dagli organi della Repubblica; oppure qualcuno ha firmato un abuso inspiegabile ai danni di una madre e cittadina". Una storia su cui promettono battaglia anche gli operatori dell'associazione "3 febbraio", da sempre al fianco degli immigrati, anche clandestini, per le battaglie di dignità e rispetto.

La storia di Abou e di sua madre K. è il percorso sofferto di tante vite clandestine, costantemente in bilico tra vita e disperazione, morte e rinascita. K. è vedova di un uomo ucciso, quattro anni fa, dalla guerra civile che dilania la Costa d'Avorio e la sua città di Abidjan. Rifugiatasi in Italia nel 2007, inoltra subito richiesta di asilo politico, che le viene negato due volte: e attualmente pende il ricorso innanzi al Tribunale di Roma contro quella bocciatura.

Intanto, stabilitasi a Napoli, K. si innamora di un falegname di Costa d‘Avorio, resta incinta, si fa curare la gravidanza difficile presso l'ospedale San Paolo, con sé porta sempre alcuni documenti e la fotocopia del passaporto, trattenuto in questura per un'istanza parallela di permesso di soggiorno, non ancora risolta.

Quando - il 5 marzo scorso - K. arriva all'ospedale Fatebenefratelli per partorire il suo bimbo ("al San Paolo non c'era un posto"), dal presidio sanitario scatta un fax verso il commissariato di polizia di Posillipo che chiede "un urgente interessamento per l'identificazione di una signora di Costa d'Avorio". Ovvero: la denuncia. Esattamente ciò che la contestatissima norma - voluta dalla Lega nell'ambito del pacchetto sicurezza, e già approvata al Senato - chiede. Proprio il nodo che ha provocato il dissenso di un centinaio di deputati del Pdl, lo scorso 18 marzo. In testa, la deputata Alessandra Mussolini, che guidava la rivolta con un esempio-limite: "Far morire una donna clandestina di parto perché non può andare in ospedale altrimenti i medici la denunciano? Eh, no. Inaccettabile".

Aggiunge l'avvocato Nesta: "Siamo di fronte a un'iniziativa senza precedenti. Non è mai accaduto che una donna extracomunitaria, che si presenta al pronto soccorso con le doglie, ormai prossima al parto, venga segnalata per l'identificazione", spiega pacatamente Liana Nesta. E aggiunge: "Come se non bastasse, K. non ha potuto allattare suo figlio nei suoi primi giorni del ricovero: lo ha visto per cortesia di alcuni sanitari che glielo hanno adagiato tra le braccia, ma non ha potuto allattarlo". La Nesta è una legale impegnata da anni nelle rivendicazioni dei diritti essenziali, al fianco di immigrati o di parenti di innocenti uccisi dalle mafie. L'ultima condanna, in ordine di tempo, la Nesta l'ha ottenuta a dicembre scorso, come avvocato di parte civile, per i killer di Gelsomina Verde, la ragazza innocente assassinata e poi data alle fiamme dai sicari di Scampia. Un'altra fragile vita per la quale invocare giustizia.
(31 marzo 2009)

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