domenica 19 aprile 2009

ciao Pristina!


Oggi ho avuto modo di girarti per bene. Senza inseguire bus da prendere, persone da intervistare o luoghi da vistitare. Oggi ho potuto osservare con calma i tre minareti in fila nel tuo quartiere vecchio e farmi contagiare dalla tranquillita' dei tuoi anziani che assaporano i raggi del sole nella veranda della moschea, oppure chiacchierano vicino alla fontana di marmo che le e' accanto. Ho potuto osservare il kebabbaro (quebabtore!) cuocere i chevapi e le salsicce fumanti, prima di condirle con il vostro tipico peperone e i pomodori. Con la telecamera ho finalmente collezionato le insegne piu' divertenti che ti sono spuntate addosso negli ultimi anni: bar "Boss", restaurant "Boston", parrucchiere "Amore" e molte molte altre, anche migliori che ora non ricordo. Ho girato di nuovo tra i bar e i caffe' alla moda, che ti fanno assomigliare a una Milano chic e snob, mille miglia lontana dalle campagne poverissime che invece ti circondano. Sono anche ripassata, naturamente, dal quartire Un, Osce, Eulex (e chi piu' ne ha piu' ne metta..), situato tutto intorno alla Police street. Ho sbuffato ancora una volta alla vista di tante tante tante fuoristrada e suv di lusso e ho pensato di nuovo a tutti i contrasti, i traffici e le ingiustizie che rappresenti oggi.
Ma, risalendo la collina verso la guesthouse, sono rimasta incantata dai grappoli di fiori bianchi dei tuoi alberi in questa stagione, che si riflettono nelle pozzanghere lasciate dalla pioggia insieme ai tetti delle tue case ben fatte, come delle baite. E, con i bambini che giocavano intorno, quei tetti mi hanno rimandato ad un cielo bianco, che non so descrivere, con addensamenti che rimandano al grigio, al viola, al celeste..


Nella foto (di Alessia Leonello): Io e Marco in un caffè di Pristina

sabato 18 aprile 2009

KOSOVO: GUERRE NASCOSTE TRA PONTI E MONASTERI

Prima di riimmergermi nella follia romana, vi racconto un po' di quella balcanica..
Allora, stasera i serbi celebrano la Pasqua ortodossa, e nei meravigliosi monastesteri sparsi in questa terra grande piu' o meno quanto l'Umbria, le cerimonie andranno avanti dalla mezzanotte fino alla mattina di domani. Speriamo vada tutto bene, visto che i serbi sono una minoranza, diciamo poco amata in questa ex regione della Serbia a maggioranza albanese e musulmana, che da un anno ha proclamato l'indipendenza. Comunque dovrebbe filare tutto liscio visto che qui ogni monastero e' presidiato notte e giorno da camionette della Kfor (militari Nato in Kosovo). Incredibile no? Ma verissimo: molte chiese e i monasteri, simbolo delle radici serbe di questa terra sono state fino a qualche anno fa, assaltate e bruciate da gruppi di albanesi (che, a loro volta, pochi anni prima erano stati perseguitati dalla pulizia etnica di Milosevich). Solo i soldati hanno pototuto proteggere gli affreschi medioevali che ricoprono l'interno dell'imponente monastero di Decani, il piu' importante tra questi luoghi sacri ( tra l'altro guidato da un ganzissimo padre Sava, ex leade di un gruppo rock serbo), e comunque, i vetri antiproiettili della cabine dei militari appaiono disegnati da raffiche di mitragliate.

Stasera noi non andiamo piu' alle cerimonie (non perche' spaventati dalle 4-5 ore di funzione!! :-)) per un incidente, (per fortuna non grave), capitato alla mia compagna di viaggio.. e, in realta', ve lo vorrei raccontare perche' aiuta bene a spiegare qual'e' la situazione qui. Insomma stamattina siamo andati a Mitrovica che e' la citta' del nord del Kosovo intorno a cui si concentrano i circa 100.000 serbi che ancora abitano questo paese. In realta' la citta' e' divisa a meta': la parte a sud del fiume Ibar e' albanese, quella a nord e' serba. In mezzo, sul ponte, ci sono (indovinate?) i militari della Kfor. Noi stamattina lo abbiamo attraversato, passando dalla parte albanese a quella serba. Il che vuol dire passare da stradine rumorose con negozietti in stile turco e parecchia spazzatura nelle strade, a vie squadrate, pulite e silenziose. Significa spostarsi da un'atmosfera euforica ad una nervosa, impaurita, in cui anche i ragazzi non vogliono farsi fotografare. L'attraversamento e' poi ben segnalato graficamente: si lasciano drappi rossi con l'acquila albanese esposti in ogni balcone, vetrina o edificio pubblico (insieme alla bandiera kosovara e a quella americana) e si trovano tricolori serbi esposti in giro, a volte insieme a cartelli che tuonano "Kosovo e' Serbia". Diciamo che nell'intento di fotografare questo contrasto la mia amica, (capita..) si e' presa una forte storta. E diciamo che nella sfiga eravamo contenti che fosse capitato proprio nella parte "precisa" della citta'. Infatti subito l'ambulanza l'ha portata all'ospedale, fatto lastre (per fortuna niente di rotto) e fasciatura in un'ora e poi chiamato il taxi per tornare. Ora c'era solo il problema che il taxi serbo arriva solo fino al fiume: come tutte le macchine anche dall'altra parte, l'attraversamento e' tabu! E praticamente impossibile: "Certo che dovete attraversare il ponte da soli!", mi ha detto l'infermiera che aveva appena finito di mettere una specie di gesso alla mia amica, che evidentemente non poteva camminare. Alla fine nell'attraversamento ci ha simpaticamente accompagnato polizia kosovara. A parte il gesso e naturalmente la scocciatura, tutto a posto alla fine per noi, pero', che storie ..

Foto di Alessia Leonello: militare italiano saluta un monaco nel monastero di Decani

venerdì 17 aprile 2009

Ritratti dal Kosovo


Stasera il vecchio pc dietro alla porta della mia stanza in questa scalcinata guesthouse di Pristina, miracolosamente funziona e allora, ho pensato di aggiornarvi con qualche riga sul mio soggiorno kosovaro. Pero' non vorrei annoiarvi, con varie considerazioni e riflessioni sul paese del conflitto etnico. Anche perche' qui e' davvero difficile prendere una posizione. Provo a a raccontarvelo solo con brevi ritratti di alcuni personaggi chiave finora incontrati:

1) MOHAMMED, L'EX GUERRIGLIERO UCK: Alto, occhi grandi e grigia barba lunga. Gile' nero e pantaloni militari e, a sorpresa, un'accento yankee. Il fatto che parli inglese, lo rende, con noi stranieri, portavoce di una trentina di connazionali, da tre giorni stabiliti in una tenda montata davanti al parlamento kosovaro, nella piazza principale di Pristina. Ci parla davanti al drappo rosso su cui si staglia l'acquila nera, che oltre ad essere la bandiera dell'Albania, e' anche il simbolo dell'Uck, il gruppo guerrigliero che, con il sostegno degli Usa, ha portato la maggioranza albanese al potere nell'ex regione serba del Kosovo. "Finita la guerra quelli al potere si sono dimenticati di noi", dice indicando gli uomini ammassati dentro la tenda. Dietro di lui volti incavati, segnati, malati. Volti di giovani vecchi, insieme pietosi e spaventosi. "La guerra e' guerra, nessuno la vuole - ci dice - io collaboro con l'associazione di madre teresa di Calcutta, sono stato in Vaticano... Quando nel 1999 ho visto cio' che Milosevic stava facendo agli albanesi del Kosovo, non ho resistito e ho lasciato il mio lavoro negli Usa e sono venuto a combattere qui... Ora che abbiamo l'indipendenza mi ritrovo, come tutti loro, senza nulla, senza un riconoscimento, senza diritti, senza cure per le ferite che la guerra ci ha lasciato..."

2) ARTAN, IL PRODUTTORE CINEMATOGRAFICO: Voce impostata, volto abbronzato, camicia e golf blu. Sorriso stampato da Berlusconi balcanico. Entra sicuro nel caffe' alla moda e sfoggia il suo italiano quasi perfetto. Racconta che a Roma ha tenuto una serie di seminari, ma non si riesce a fargli dire in quale scuola o universita'. Artan e' albanese ma e' venuto qui in Kosovo dopo la guerra. Si perche' il Kosovo sara' pure un paese con il 70 per cento di disoccupazione, ma per la gente che ha gia soldi e iniziativa e' un posto parecchio attraente. Anche se dai dati ufficiali il paese ha un'economia praticamente ferma, il centro delle citta' principali pullula di locali e caffe' raffinati e moderni. Oltre agli ingenti aiuti internazionali, c'e' un'economia informale parecchio fiorente. Comunque Artan lavora nello spettacolo e mi racconta che anche lui ha molti amici che hanno combattuto nell'Uck. Uno di loro per sempio pare abbia ucciso parecchie persone. Gli chiedo se e' per caso nella tenda in piazza e lui "Noo, il mio amico ora e' manager!".

3) BACOL, IL TASSISTA: Anche lui ha un volto segnato, un occhio che resta sempre socchiuso da chissa' quale indidente, pur se non ha fatto la guerra in nessun esercito, ma semplicemente rinchiuso in carcere, senza motivo. Bacol mi ha fatto da guida nella visita all'ospedale di Pristina e girando tra edifici, corridoi e dipartimenti, mi ha raccontato un po' della sua storia. Parla italiano perche' ha lavorato in qualche anno vicino Udine come autista per un'azienda italiana. Quando questa e' fallita una donna che conosceva gli ha trovato un lavoro, gli avevano detto che l'avrebbero preso in un'altra sociea' dopo 15 giorni. Ha pensato allora di tornare a trovare la famiglia qui in Kosovo. Brutta idea perche' in quegli anni, 1990 era intanto scoppiata la pulizia etnica di Milosevic e allora il suo viaggio si e' fermato in Croazia, dove i poliziotti serbi lo hanno arrestato, come spia italiana, e chiuso in carcere per due anni. Dopo di che e' tornato in Kosovo dove ha iniziato a guidare, questa volta un taxi sgangherato. Ma senza mai riparlare con quella donna, senza sapere se da quegli anni di lavoro potrebbe ottenere una piccola pensione. Allora e'stato emozionante oggi trovare quel numero di telefono, insieme sulle pagine bianche.

Foto di Alessia Leonello: Mohammed, ex guerrigliero Uck davanti al tendone degli scioperanti

mercoledì 8 aprile 2009

DA LAMPEDUSA ''Solidarietà per le vittime del terremoto"

Non si fermano gli scioperi della fame dei migranti detenuti nel Cie (Centro di Identificazione e Espulsione) di Lampedusa. Ma da quel luogo di disperazione è sbocciato uno striscione di solidarietà dedicato alle vittime di un'altro dramma. Più su nello stivale, in Umbria.''Solidarietà per le vittime del terremoto": scritto con un pennarello su un lenzuolo. E' lo striscione che sventola dalle finestre del Cie di Lampedusa, come ha fatto sapere ieri l'Oim (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni.

lunedì 6 aprile 2009

NOI, ABITANTI DELLA CITTA' DEI SOGNI

La città dei sogni è un luogo fatto di molte voci, dove l'identità singolare e unitaria è un'illusione. Naturalmente, Obama è nato lì. E anch'io. Quando uno porta la propria molteplicità stampata in faccia, tematizzata in maniera quasi troppo ovvia, nel dna, nei capelli e nel beige della pelle, beh, si vede subito che viene dalla Città dei Sogni.

E' il tipo di città, dove le persone saggie dicono "io", con grande cautela, perchè "io", sembra un fonema troppo diretto e singolare, per rappresentare la vera molteplicità della loro esperienza. Gli abitanti della Città dei Sogni preferiscono usare il pronome collettivo "noi".

Nel corso di tutta la campagna elettorale Obama è stato sempre attento a dire"noi". Ha mostrato una palese diffidenza per la parola "io". Non stava semplicemente evitando una singolarità che non sentiva: ci stava attirando al suo fianco. Aveva l'audacia di lasciare intendere che, anche se non si capisce dalle loro facce, la maggior parte delle persone viene dalla Città dei Sogni. Quasi tutti abbiamo alle spalle storie complicate, un passato caotico, una molteplicità di narrazioni.

da "Le mille voci di Obama" di Zadie Smith, scrittrice anglo-giamaicana,
su Internazionale 3/4/2009



giovedì 2 aprile 2009

RIFUGIATA DENUNCIATA2: VERO O NO?

Stamattina mi son svegliata con Radio24 che intervistava il direttore del Fatebenefratelli di Napoli, il quale si diceva stupito di tutte le telefonate e mail ingiuriose arrivate dopo la notizia. Il medico affermava che il fax inviato dai responsabili dell'ospedale non era una denuncia ma una richiesta di identificazione al commissariato, solo una precauzione per la sicurezza del bambino. Un atto che fanno sempre. Che sia stato dato effettivamente un'allarme ingiustificato? Mi sono chiesta. Oppure le parole del medico erano semplicemente un modo per uscire dall'imbarazzante immagine di "ospedale di delatori". Ho poi letto su Aprile.it un'articolo del dottor Salvatore Geraci, presidente della Società Medicina delle Migrazioni, che afferma come il fax inviato al commissariato di polizia di Posillipo chiedendo "un urgente interessamento per l'identificazione di una signora di Costa d'Avorio", non sia altro che "una denuncia". E lui, che da mesi si occupa della legge ora in discussione alla camera, è affidabile sul tema. Questo il link:

http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=11663.

Concludo quindi postando l'appuntamento "SIAMO TUTTE CLANDESTINE", oggi 3 aprile ORE 17.00- davanti al Ministero del Lavoro, Salute, Politiche Sociali (via Veneto 56, metro Barberini)
Non amo le cose femministe, ma le ragioni in quanto affermano qui, ci sono tutte:

Presidio di solidarietà a Kante, la donna ivoriana denunciata come
clandestina da un medico dell’ospedale Fatebenefratelli di Napoli dove è
andata a partorire

Evidentemente uno o più operatori sanitari, resi troppo zelanti dal loro
razzismo, si sono sentiti in dovere di applicare una legge ancora prima che
fosse approvata.

Il 4 febbraio scorso, infatti, il Senato ha varato il cosiddetto Pacchetto
Sicurezza (ddl 733), che contiene, tra l'altro, una modifica all'articolo
35 del Testo Unico sull'Immigrazione (Dlgs 286-1998) che elimina la
garanzia, per gli irregolari che vanno a curarsi, di non essere segnalati
da parte dei sanitari. Un vergognoso provvedimento che impedisce di fatto
ai cittadini stranieri, non in regola con il permesso di soggiorno, di
accedere alle prestazioni sanitarie.

Ancora una volta repressione e controllo giungono sin dentro le corsie
degli ospedali dove dovrebbero essere garantiti diritti universali come
quello alla salute e alle cure!!

Nell’ospedale Fate bene fratelli di Napoli, a Kante è stato sottratto il
bambino impedendole persino di allattarlo per i 10 giorni che ci sono
voluti per dimostrare che era in attesa del riconoscimento dell’asilo
politico. Cosa succederà nei
casi di espulsione di una donna immigrata? Che fine faranno i bambini
“clandestini”? Quante saranno le donne che pur di evitare
l’espulsione o di vedersi portare via il bambino ricorreranno ai circuiti
illegali per partorire o abortire rischiando la morte? Kante purtroppo non
è neanche la prima vittima, appena due settimane fa Joy Johnson, una
nigeriana di appena 24 anni moriva di tubercolosi per la paura di essere
denunciata qualora si fosse presentata in ospedale per farsi curare.

Se questa legge viene approvata definitivamente, nonostante le proteste
della maggioranza dei medici italiani, non solo gli immigrati irregolari
rischiano la segnalazione e l’espulsione per il solo fatto di ricorrere a
cure mediche, ma in caso di parto sarà impossibile anche la registrazione
anagrafica del bambino!

Ancora una volta il corpo delle donne viene utilizzato come pretesto per
giustificare leggi repressive. Non è un caso che proprio il pacchetto
sicurezza sia stato approvato strumentalizzando gli episodi di violenza
contro le donne degli ultimi mesi. Sull’onda del clamore mediatico creato
ad arte intorno a questi stupri si è voluto far credere che gli unici
responsabili della violenza contro le donne sono gli immigrati. Una
menzogna: 142 donne sono state uccise nel 2008 e centinaia di migliaia
quelle picchiate e violentate dai loro mariti, fidanzati, amici. Che
c’entrano gli immigrati? Aumentare la paura dello straniero, la
diffidenza e l'odio serve solo a nascondere i veri responsabili della
insicurezza dei cittadini: i poteri forti che creano la precarietà, che
tagliano i servizi sociali, che licenziano, che fanno degradare i nostri
quartieri.
Contro pacchetti sicurezza e norme xenofobe che ci vogliono distinguere in
cittadine/i con e senza diritti, rispondiamo che
SIAMO TUTTE CITTADINE DEL MONDO E ANDIAMO DOVE CI PARE! QUESTE MISURE NON DEVONO PASSARE!

Presidio
Venerdi 3 APRILE '09
ORE 17.00- davanti al Ministero del Lavoro, Salute, Politiche Sociali
(via Veneto 56, metro Barberini)

RETE - FEMINISTE DI ROMA

mercoledì 1 aprile 2009

RIFUGIATA DENUNCIATA DOPO IL PARTO A NAPOLI

Una donna con diritto di protezione internazionale. Le avevano ucciso il marito nel sangiunoso conflitto civile della Costa d'Avorio. La fuga era stata una decisione dolorosa e sofferta, non una scelta di vita, un'avventura per migliorare lo stato economico e sociale. Se non darlo a lei, a chi l'asilo politico? Eppure la commissione territoriale italiana per l'esame della domanda di asilo le aveva rifiutato ogni protezione. Lei aveva però avviato la procedura per il ricorso. Non era clandestina in Italia, quindi. Ma non è bastato. I medici del Fatebenefratelli di Napoli l'hanno fatta partorire, poi hanno preso un fax e l'hanno denunciata. Ancora non c'è la legge che permette la denuncia degli irregolari, oltre al fatto che la donna non lo era. L'episodio mostra che non è vero, che i medici non denunceranno. Molti, non vedono l'ora.

La vergogna è immensa, immensa. Ma proprio il profilarsi di un caso come questo aveva convinto la Mussolini (ne avevam parlato in un post precedente) a intraprendere un'azione contro l'approvazione della legge vergogna che permette ai medici di denuciare gli immigrati irregolari. Spero che questo caso serva d'avvertimento a tutti i parlamentari, che sono donne e uomini, madri e padri, oltre che politici.


Ecco l'articolo di La Repubblica Napoli:
Clandestina denunciata dai medici dopo il parto al Fatebenefratelli

Un fax alla polizia contro una madre clandestina della Costa d'Avorio. Ma la contestata legge non è ancora in vigore

Ora Abou sorride in una culla povera, dentro le case-alveare per immigrati clandestini o regolari di Pianura. È un neonato nero che non sa di avere ventisei giorni di vita e, alle spalle, già un'amara esperienza del mondo. Abou è il volto di un caso politico e sociale. Forse la prima volta in Italia in cui una norma - quella voluta dalla Lega nel pacchetto sicurezza, quella che invita i medici a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno: ma a tal punto controversa da avere spaccato persino i compattissimi deputati del Pdl - è stata applicata prima ancora di diventare tale.

"Un caso illegittimo, gravissimo", denuncia l'avvocato napoletano Liana Nesta. "Delle due l'una - aggiunge il legale - o nell'ospedale napoletano Fatebenefratelli c'è un medico o un assistente sociale più realista del re che ha messo in pratica una legge non ancora approvata dagli organi della Repubblica; oppure qualcuno ha firmato un abuso inspiegabile ai danni di una madre e cittadina". Una storia su cui promettono battaglia anche gli operatori dell'associazione "3 febbraio", da sempre al fianco degli immigrati, anche clandestini, per le battaglie di dignità e rispetto.

La storia di Abou e di sua madre K. è il percorso sofferto di tante vite clandestine, costantemente in bilico tra vita e disperazione, morte e rinascita. K. è vedova di un uomo ucciso, quattro anni fa, dalla guerra civile che dilania la Costa d'Avorio e la sua città di Abidjan. Rifugiatasi in Italia nel 2007, inoltra subito richiesta di asilo politico, che le viene negato due volte: e attualmente pende il ricorso innanzi al Tribunale di Roma contro quella bocciatura.

Intanto, stabilitasi a Napoli, K. si innamora di un falegname di Costa d‘Avorio, resta incinta, si fa curare la gravidanza difficile presso l'ospedale San Paolo, con sé porta sempre alcuni documenti e la fotocopia del passaporto, trattenuto in questura per un'istanza parallela di permesso di soggiorno, non ancora risolta.

Quando - il 5 marzo scorso - K. arriva all'ospedale Fatebenefratelli per partorire il suo bimbo ("al San Paolo non c'era un posto"), dal presidio sanitario scatta un fax verso il commissariato di polizia di Posillipo che chiede "un urgente interessamento per l'identificazione di una signora di Costa d'Avorio". Ovvero: la denuncia. Esattamente ciò che la contestatissima norma - voluta dalla Lega nell'ambito del pacchetto sicurezza, e già approvata al Senato - chiede. Proprio il nodo che ha provocato il dissenso di un centinaio di deputati del Pdl, lo scorso 18 marzo. In testa, la deputata Alessandra Mussolini, che guidava la rivolta con un esempio-limite: "Far morire una donna clandestina di parto perché non può andare in ospedale altrimenti i medici la denunciano? Eh, no. Inaccettabile".

Aggiunge l'avvocato Nesta: "Siamo di fronte a un'iniziativa senza precedenti. Non è mai accaduto che una donna extracomunitaria, che si presenta al pronto soccorso con le doglie, ormai prossima al parto, venga segnalata per l'identificazione", spiega pacatamente Liana Nesta. E aggiunge: "Come se non bastasse, K. non ha potuto allattare suo figlio nei suoi primi giorni del ricovero: lo ha visto per cortesia di alcuni sanitari che glielo hanno adagiato tra le braccia, ma non ha potuto allattarlo". La Nesta è una legale impegnata da anni nelle rivendicazioni dei diritti essenziali, al fianco di immigrati o di parenti di innocenti uccisi dalle mafie. L'ultima condanna, in ordine di tempo, la Nesta l'ha ottenuta a dicembre scorso, come avvocato di parte civile, per i killer di Gelsomina Verde, la ragazza innocente assassinata e poi data alle fiamme dai sicari di Scampia. Un'altra fragile vita per la quale invocare giustizia.
(31 marzo 2009)